Axèl Shantal
RACCONTI MACABRI
…ciò che viene
vissuto durante notti senza stelle
quando ormai è
perso ogni conforto della luce…
(pp. 64; 5,00
euro)
Se hai già letto H. P. Lovecraft e E. A. Poe,
allora sei pronto per i racconti di Axèl Shantal.
Ciò che chiamiamo Realtà...
All'insaputa di Dio...
Il collezionista di teschi...
un solo consiglio amico Lettore: non leggere
queste storie da solo,
e non
dimenticare quello che qualcuno, un tempo, disse ad Axèl:
"...Non volger lo sguardo
al buio... ciò che viene vissuto durante notti senza stelle quando ormai è
perso ogni conforto della luce può essere un viaggio senza ritorno... Lascia la
notte ai profeti e al demonio... "
Una
nota di Stefano Tamburrini a proposito di questo libro:
«Fare paura è come fare ridere: difficilissimo. Fare paura scrivendo è poi un'impresa disperata e terribile: i distratti ti bollano immediatamente come "autore di serie Z" (a prescindere), mentre i fanatici si attendono squartamenti, orribili mutazioni, macelleria varia. E se non gliene fornisci in quantità industriale ti snobbano.
I racconti di Axèl Shantal si trovano a mezza strada: buoni per entrambe le categorie, ovvero pessimi per entrambe le categorie. Hanno il sapore delle cose antiche: un richiamo a Lovecraft, una spruzzatina di Hawthorne, l'immancabile Edgar Allan Poe. Potrebbero scontentare i fans di Dylan Dog così come i cultori di Umberto Eco; "troppo molli" direbbero i primi, "troppo duri" i secondi.
In realtà credo si tratti semplicemente di buon materiale, ben congegnato e ben scritto. Gli spunti sono originali, per quanto lo si possa essere in un campo dove sembra aver avuto corpo ogni ispirazione. La vertigine del cervello incapace di rassegnarsi alla propria solitudine parte da un'intuizione piuttosto interessante: è inutile affidarsi a mostri ultraterreni per dimostrare l'insensatezza del mondo, perchè basta guardarsi dentro, roteare gli occhi e lasciarsi cadere. L'unico gesto che il creatore non poteva prevedere. L'attacco suona come un divertito omaggio ai grandi autori del passato: potrà risultare retorico a chi non mastica l'argomento, ma denota solide letture (cosa indispensabile per uno scrittore "di genere") e buona padronanza della lingua.
Il collezionista di teschi spende i soldi guadagnati comperando una casa per la figlia: sembra un gesto di indipendenza; si tratta invece di un tentativo di legarla a sè con un filo più resistente dell'acciaio. Ma dimentica che tra generazioni contigue non possono esistere complicità: il motivo dell'eterna lotta tra nazisti ed ebrei a questo punto risulta quasi superfluo, dispettosamente moralista se paragonato al silenzio che dilania ogni legame tra Salina ed il genitore. Non a caso il racconto si chiude con una confessione, con la consapevolezza che soltanto un estraneo ha diritto di conoscere la verità, o quantomeno di ascoltarla.
Il tema dell'angelo ribelle ritorna in All'insaputa di Dio. Ho lasciato per ultimo questo racconto perchè, tra i tre, mi sembra quello che più si avvicina ai luoghi tipici della letteratura dell'orrore. Ancora una volta è la curiosità a fungere da molla: un sentimento che travalica persino la volontà di sopravvivere (Non c'era posto per iniziative private o personali in quella, come in ogni altra organizzazione criminale...), nel nome del quale si rifiuta qualsiasi gerarchia imposta. Finirà male, come è giusto. Del resto che Dio sia vendicativo i protagonisti delle storie di paura lo sanno benissimo; conoscono la loro sorte ancor prima di commettere il peccato: sanno di non avere scampo. Non si può fare a meno di ammirare la loro testardaggine e di seguirli con passione nella loro discesa all'inferno, perchè ci ricordano in continuazione che il terrore è figlio della curiosità. Bisogna schiacciare l'interruttore, aprire la porta, attraversare la foresta: è lì che si raccolgono gli incubi più terribili. É lì che l'esistenza diventa attraente.
L'archetipo della Cosa che non vuole morire, inaugurato dal Frankenstein di Mary Shelley, sembra il comune denominatore dei racconti di Axèl: ossessione dell'intelletto che decide di ribellarsi alle regole, del figlio che abbandona le orme del padre per seguire il proprio destino.
Una narrativa incentrata sullo strappo, sull'istante in cui la continuità si incrina e si spezza, come ogni buona storia di paura.
Bene ha fatto l'autrice a non permettere che uno stile troppo ricercato prevalesse sulla trama: l'orrore ha bisogno di cantastorie, non di poeti. Meglio si realizza il mimetismo dello scrittore, più possibilità ci sono di colpire al cuore chi legge. In questo senso la scelta di appoggiarsi a modelli letterari del passato mi sembra valida: il loro equilibrio formale è distante anni-luce dalle efferatezze splatterpunk, e rende in pieno le inquietudini faustiane che percorrono il libro.
I distratti ed i fanatici, stavolta, non sapranno che pesci pigliare. Con grande gioia di tutti i lettori normali.»
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